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Il mobile moderno 1925-45

Come nasce il mobile moderno

Il mobile moderno nacque dopo la prima Guerra Mondiale in Europa. Questo periodo fu caratterizzato da una nuova età industriale. Anni in cui l’industria andava di pari passo con le nuove tecnologie come l’auto, l’elettricità e il telefono che erano entrate a fare parte della vita civile. Il Movimento Moderno impose nell’arredamento, (ma anche nell’architettura) uno stile essenziale.

Questo ci ricorda un illustre precursore: Adolf Loos che nel 1908 aveva pubblicato “Ornamento e delitto”. Loos si inseriva in quell’esperienza di artigianato e design denominata Wiener Werkstatte, caratterizzata da una linea semplice e senza fronzoli.

La fabbrica di mobili: il design industriale

Il nuovo stile mette l’accento sulla STRUTTURA del mobile che deve essere visibile. Cambia la forma del mobile che diventa sobria e minimale. Perché questo cambiamento? Per sviluppare un linguaggio adatto a mobili realizzati con metodi industriali. Infatti fino a quel momento, la scelta delle industrie era stata di imitare gli stili del passato. I fabbricanti  puntavano a conferire ai mobili prodotti in serie, l’aspetto di quelli prodotti a mano dagli artigiani del passato.

I designer del Movimento Moderno scelgono la strada opposta:uno stile che evidenziava i nuovi processi produttivi conferendo dignità alla produzione seriale. La produzione in serie aveva il vantaggio di fabbricare mobili a basso costo: una richiesta fondamentale per le popolazioni che vivevano il periodo post bellico.

La scuola Bauhaus in Germania

Questa scuola di arte, architettura e design nasce a Weimar nel 1919 sotto la guida di Walter Gropius. Vi insegnarono artisti di grande fama come Vasiliij Kandinskij, Paul Klee,  Laszlo Moholy-Nagy e Theo Van Doesburg . Quest’ultimo sosteneva che i designer dovevano convertirsi alle macchine poiché il lavoro artigianale era ormai superato. Quando la scuola venne spostata a Dessau nel 1924, Gropius presentò un nuovo programma: “Arte e tecnologia. Una nuova unità”.

Il nuovo edificio a Dessau, esempio di architettura industriale. Fu progettato con da Gropius e Adolf Meyer con materiali industriali come vetro e acciaio. Il nome della scuola fu scritto con il carattere Universal inventato da uno degli insegnanti.

Dalle botteghe ai laboratori: il designer

Da quel momento gli studenti lasciarono le botteghe per trasferirsi nei laboratori, dove progettavano i prototipi destinati all’industria.  Nacque così la figura del designer. Al Bauhaus esistevano molti laboratori ciascuno improntato alla sperimentazione di uno specifico materiale. Ad esempio quello dedicato ai metalli  oltre all’acciaio tubolare, esaminava le varie proprietà del rame, ottone, oro  e argento per usarle al servizio della nuova estetica. Fu al Bauhaus che Marcel Breuer sperimentò l’uso dell’acciaio tubolare rivoluzionando la forma degli arredi.

Al Bauhaus ebbero posto anche le donne , tuttavia il loro ruolo fu ambivalente. Da un lato alle più dotate veniva riconosciuto il credito che meritavano, dall’altro però la maggior parte delle donne era relegata nel laboratorio di…tessitura! Va detto che questo laboratorio, sotto la guida  di Gunta Stolzl fu tra i più validi della scuola. L’ultimo direttore fu Mies van der Rohe che assistette al declino e alla chiusura della scuola con l’ascesa del partito nazista. Lo sviluppo industriale e tecnologico aveva introdotto nuovi materiali: il metallo innanzitutto, ma anche il compensato curvato a vapore e le lastre di vetro.

La fortuna dell’acciaio tubolare

L’acciaio tubolare anche cromato, freddo e rude furoreggiava  in contrasto netto con il legno caldo e emozionale. L’acciaio tubolare iniziò a diffondersi grazie all’industria automobilistica e delle biciclette.

Marcel Breuer, direttore del laboratorio di mobili al Bauhaus, fu il primo a sperimentare con questo materiale nel 1925. Mandò in produzione la sedia Wassily ideata per l’appartamento di Kandinskij. Da notare che fu la società tedesca Thonet, con le sue sedute in legno tondo curvato ad ispirare i designer razionalisti. Questa collaborazione tra un designer (Breurer) e un’industria (la Soc. Thonet) è tipico del nuovo modo in cui si organizza la progettazione e realizzazione di mobili e oggetti.

L’acciaio tubolare piaceva perché era funzionale e pratico:  leggero, pulibile e dotato di un’ abbagliante lucentezza metallica. Insomma riassumeva in sé gli ideali del nuovo stile razionale. Bisogna sottolineare che nei primi decenni questo materiale era più costoso del legno. I prezzi scesero solo alla fine degli anni Trenta quando il prezzo dell’acciaio registrò un drastico calo.

All’inizio degli anni Trenta due ditte inglesi, la PEL e la Cox and Co., iniziarono a produrre arredi in acciaio tubolare basandosi sui disegni del catalogo della Thonet. Fu così che nel 1932 la BBC decise di cambiare l’arredamento dei suoi studi e scelse proprio questo tipo di mobili. Da questo momento in poi, gradualmente il nuovo stile si diffuse anche tra la gente.

Le diverse nazioni svilupparono linguaggi peculiari, vediamone alcuni.

“Less is more”: Mies van der Rohe 

La Germania fu il paese che svolse il ruolo più significativo all’interno del Movimento Moderno. Per due ragioni: un grande desiderio di guardare avanti dopo la Grande Guerra e un’eredità da parte di movimenti di architetti pionieri che avevano gettato i semi per quello che avvenne dopo con il Bauhaus.

Mobile moderno: la sedia Barcelona di Mies van der Rohe

E’ di Van der Rohe la frase celebre :“Less is more”. E’ famoso per la sedia a sbalzo e la sedia Barcelona progettata e realizzata per il re di Spagna.

Mobile moderno: la sediaa sbalzo con acciaio tubolare

La sedia a sbalzo sfrutta il principio secondo cui una struttura può reggersi anche scaricando il peso su un unico montante. Questo era molto affascinante per i designer perché permetteva di ridurre la struttura della sedia e svincolarsi dalla vecchia idea per cui un seduta doveva avere per forza 4 gambe.

Van der Rohe si distingueva per il suo uso di materiali costosi e ricercati che non sposavano il programma egualitario del Bauhaus di produrre arredi a basso costo.

Le Corbusier: il razionalismo estetico della Francia

I designer francesi rimasero più legati a uno stile decorativo e opulento rispetto ai loro colleghi tedeschi. Pur adottando i materiali nuovi, li modellarono in forme più aggraziate e meno rigorose. Il via venne da Le Corbusier che era prima di tutto un architetto, ma disegnò anche mobili.  Nel 1925 in occasione di un a grande esposizione internazionale in Francia, il celebre architetto stupì tutti con il suo stand. Il suo padiglione era un esercizio di geometria razionale: spoglio, e minimale. Poco alla volta gli altri designer francesi lo seguirono. Insieme a Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret disegnò una serie di mobili di foggia industriale ma molto confortevoli. A produrli fu proprio la già citata società Thonet.

Da menzionare una donna, la designer Eileen Gray che lavorò a Parigi. Apprese grazie ad un artigiano giapponese , la tecnica della laccatura ed ebbe legami con il gruppo artistico De Stijl. La Gray considerava i mobili come parti di una più vasta macchina che era la casa  (E1027 la sua casa famosa nel sud della Francia). La forma degli arredi doveva essere subordinata alla funzione. Fu lei ad avere l’idea dei tavoli allungabili  e regolabili che oggi sono la norma. Il suo stile fu lineare ma caratterizzato da una ricercatezza  per i dettagli e i materiali tipicamente francese.

L’approccio umanistico degli scandinavi al mobile moderno

Sedia disegnata da Kaare Klint esempio di mobile moderno scandinavo

Sedia Safari disegnata da Kaare Klint. La struttura in acero è tenuta insieme dalla seduta, cinghie e braccioli in pelle e dalle traverse laterali che si inseriscono in appositi scassi nelle gambe.E’ smontabile. Ispirata a modelli tradizionali per l’esercito britannico.

Nelle nazioni del nord sia la politica che l’economia erano molto più stabili rispetto al resto d’Europa. Inoltre  lo sviluppo dell’ industria fu più lento e l’amore e il rispetto per le tradizioni artigianali  resisté. Questo spiega come mai i designer nordici rimasero legati a forme di artigianato e di lavoro manuale nella fabbricazione dei mobili. Dal momento che erano paesi  con climi rigidi, il LEGNO venne preferito all’acciaio che appariva troppo freddo! La forma dei mobili preferiva linee più morbide e avvolgenti rispetto a quelle tedesche e la fonte di ispirazione fu la natura e le sue forme.

Mobile moderno: Poltrona di design di Aalto

Poltrona Paimio n. 41 realizzata da un unico pezzo di compensato curvo. I designer finlandesi Alvar Aalto e sua moglie Aino acquisirono una grande padronanza nei processi di modellazione del compensato basati sulla curvatura del legno a vapore. Usarono legno laminato e compensato di betulla.

Il designer e architetto finlandese usava legno di betulla che abbondava nel suo paese. Con la moglie fondarono la società Artek ancora attiva oggi, per fabbricare i propri progetti in autonomia.

Bruno Mathsson impiegava materiali naturali e linee ondulate tuttavia il suo stile è innegabilmente moderno e senza fronzoli. L’approccio dei designer scandinavi venne definito “umanistico” perché si preoccupava della relazione tra l’uomo e gli oggetti che usa. Gli studi sull’ergonomia di Kaare Klint ne sono un esempio. Dopo la Seconda Guerra Mondiale questo approccio detto anche Design Organico, ebbe molta fortuna e determinò l’abbandono dell’acciaio tubolare.

Il mobile moderno in Italia

In Italia, a sposare gli ideali del funzionalismo e minimalismo fu il Gruppo 7. Inizialmente appoggiato da Mussolini che li incaricò di arredare la Casa del Fascio a Como nel ‘34. In seguito il dittatore li mise da parte perché propugnavano valori estetici troppo internazionali e poco nazionalistici! A loro fu preferito il gruppo Novecento che sosteneva lo stile Neoclassico.

A differenza di Hitler che obbligò gli esponenti del Bauhaus ad emigrare, Mussolini non fu così intransigente. In questi anni nacquero, un po’in sordina, le case di produzione che diventeranno famose nel Dopoguerra: Cassina, e Fontana Arte ad esempio.

Mobile moderno : la sedia a farfalla

La SEDIA A FARFALLA disegnata da Antonio Bonet, Juan Kurchan, Jorge Ferrari-Hardoy è una rivisitazione dela sedia Fenby. Questa era stata brevettata nel 1800 per l’esercito inglese. Era già stata imitata dalla Tripolina francese e dal modello americano n.4, venduta come sedia da campeggio. I tre designer usarono l’acciaio tubolare al posto del legno e la canapa al posto della pelle per renderla più leggera. Il successo fu enorme nel 1945 ne erano già stati venduti milioni di esemplari.

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Come lavoravano gli scultori di statue in legno?

Scultura in legno Madonna con bambino

La realizzazione di una statua lignea nel Medioevo

Secondo fonti storiche, dal Medioevo al Quattrocento, ci sono tre principali modalità tecnico-esecutive per realizzare una statua lignea:

  1. la prima prevede lo svuotamento dal retro della scultura;
  2. la seconda consiste nell’uso del tronco lasciato massiccio;
  3. L’ultima, in uso a partire 1480, consiste nel creare la statua da un blocco di legno assemblato, costituito da due o più elementi accostati e incollati.

Nell’Alto Medioevo era uso degli scultori eliminare la zona di midollo per ridurre la massa del legno e limitare le possibili fessurazioni che si potevano creare col tempo.  

La sbozzatura del tronco

Si iniziava con la sbozzatura sul legno ancora fresco, dal momento che ha una resistenza meccanica inferiore rispetto al legno stagionato. Il tronco veniva tagliato longitudinalmente a sega, per uno spessore variabile da ½ a ¾ del tronco stesso, e con l’ausilio di un’ascia curva veniva svuotato in tutta la sua lunghezza oppure solo nella parte bassa, fino ad ottenere un guscio più o meno spesso. Questo trattamento consentiva al legno di stagionare in tempi assai più brevi e di evitare la formazione di cretti da ritiro. Successivamente si procedeva all’intaglio vero e proprio.

Per ottenere figure a tutto tondo, gli incavi erano chiusi con pannelli; oppure si riaccostavano due tronchi svuotati come due metà che si riuniscono.

Dalle fonti storiche si evince che la stagionatura dei tronchi di legno massiccio non veniva fatta o comunque era molto  rara. Al momento di una commessa, lo scultore optava per la rimozione del midollo, perché questo avrebbe portato ad una sicura formazione di fenditure e cretti sull’opera finita.

Scultura da un pezzo unico di legno

Statua in legno: Maddalena di Donatello

Nonostante ciò, alcuni scultori, prevalentemente artisti che usavano sporadicamente il legno, scelsero un unico blocco di legno. Questa scelta si può spiegare perché un pezzo unico consentiva una lavorazione più libera, uno studio dell’anatomia in totale tridimensionalità.  Un esempio illustre è la Maddalena di Donatello conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

Evoluzione delle tecniche costruttive nel 1500

A partire dal 1500 vediamo che le innovazioni avvenute nei metodi costruttivi dei migliori legnaioli si trasferirono anche alla pratica della scultura. Questa nuova tecnica consisteva nell’assemblaggio del gruppo scultoreo composto da singoli elementi lignei. Gli elementi vnivano ottenuti da porzioni dell’albero che non contenevano midollo. Venivano incollati fra loro con colle d’origine animale infine, il  blocco così composto era  rinforzato con cavicchi del medesimo legno.

Questo sistema risolveva varie questioni legate all’utilizzo del tronco unico. Innanzitutto la difficoltà di reperire tronchi stagionati. In seconda battuta, diventava più facile individuare la posizione della scultura all’interno del blocco di legno che non nel tronco.

Assemblaggio degli elementi scultorei

Oltre a questi innegabili vantaggi, gli elementi molto aggettanti, come ad esempio braccia del Cristo nei crocefissi, mani e piedi, il Bambin Gesù accanto alla Madonna, potevano essere intagliati separatamente e in seguito, collegati con cavicchi in legno e colla forte d’ossa.

Statua in legno: perno che collega il braccio
Perno in legno che tiene insieme il braccio con il resto del corpo della statua

I chiodi in ferro non venivano adoperati perché, penetrando nel legno, avrebbero indebolito le fibre. Il ferro inoltre, ossidandosi nel tempo, avrebbe trasferito il suo degrado al legno circostante favorendo distacchi. Oltre alla ruggine, il ferro in quanto metallo, è soggetto a espansione. Questa espansione avrebbe potuto provocare variazioni volumetriche all’interno della struttura con conseguente formazione di spaccature.    

Statua in legno dorata di Parodi
Statua in legno dorata opera dello scultore genovese del 1700 Filippo Parodi

Nelle sculture, a tutto tondo o svuotate, la prassi comune per la sbozzatura e l’intaglio, consisteva nel posizionare il blocco di legno orizzontalmente. Lo scultore lavorava fissando le due estremità ai supporti di un banco da lavoro, con una morsa (ganasce). Per i blocchi più grandi si ipotizza che sbozzatura e intaglio siano stati realizzati in piedi su un ceppo.

Gli attrezzi dello scultore in legno

Lo scultore che lavorava il legno, aveva cura di assecondare la venatura (tiglio, pero e cirmolo possono essere intagliati “controvena”). Sia la sbozzatura sia successivamente l’intaglio erano eseguiti con piccole asce, pialle, scalpelli, sgorbie e raspe; il mazzuolo serviva ad imprimere forza agli attrezzi da taglio. Più l’opera era raffinata più richiedeva attrezzi raffinati per ottenere ogni minimo dettaglio dal suo modellato. Le tracce degli utensili erano abilmente sfruttate per rendere alcuni dettagli come capelli o rughe, o eliminate per raggiungere effetti di particolare levigatezza come la superficie degli incarnati.

Scopri come si restaura una statua in legno antica visitando la nostra pagina dedicata al restauro delle statue lignee.

Nella vita di Filippo Brunelleschi, Giorgio Vasari citando Donatello, scrive di una sfida tra i due nella realizzazione di un Crocifisso:

” Ora, avendo Donatello in que’ giorni finito un Crucifisso di legno, il quale fu posto in S.Croce di Fiorenza…, volle Donato pigliarne parere con Filippo; ma se ne pentì perché Filippo gli rispose ch’egli aveva messo un contadino in croce… Per il che Filippo… stette cheto molti mesi, tanto che condusse di legno un Crocifisso della medesima grandezza, di tal bontà e si con arte, disegno e diligenza lavorato,che nel mandar Donato a casa inanzi a lui, quasi ad inganno (perché non sapeva che Filippo avesse fatto tale opera), un grembiule che egli aveva pieno di uva e di cose per desinar insieme, gli cascò mentre lo guardava uscito di sé per la meraviglia e per l’ingegnosa et artifiziosa maniera che aveva usato Filippo nelle gambe, nel torso e nelle braccia di detta figura, disposta et unita talmente insieme, che Donato, oltra il chiamarsi vinto, lo predicava per miracolo. La qual opera è oggi postain Santa Maria Novella…, lodata ancora dai moderni infinitamente”.

G. VASARI, Le vite de’ più eccelenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, Vita di Filippo Brunelleschi scultore et architetto (ad vocem), Torino 1991, pp.280 – 281
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I pavimenti in legno nella storia

I pavimenti in legno storici realizzati con semplici assi, tipo tavolato, c’erano già in epoca romana. Ovviamente erano abbastanza rudimentali perché non c’erano molti attrezzi per la lavorazione del legno. Verso la fine del Medioevo invece, la lavorazione del legno si affina e compaiono tecniche più ricercate come  quella di accostare tavole di specie legnose differenti. Nei paesi nordici e nel Regno Unito sono tuttora visibili degli esemplari di pavimenti in legno storici eseguiti con questa tecnica, datati tra il periodo Gotico e il Quattrocento.

Il secolo del parquet

Il termine parquet è di origine francese e sembra sia nato nel 1600, periodo in cui i pavimenti lignei hanno avuto massima diffusione. La parola parquet deriva dalla tecnica della marqueterie o parqueterie ossia l’intarsio applicato ai mobili di pregio. Nel 1600 gli artigiani realizzano i singoli pannelli che comporranno il pavimento in legno in bottega. Poi sul posto avviene la posa in opera.

Da sempre gli artigiani si sono preoccupati di garantire la giusta circolazione dell’aria per difendere il legno dai pericoli dell’umidità. Per questo si dava molta importanza alle intercapedini sotto ai pavimenti in legno che erano di almeno 32 cm. Il parquet storico infatti, poggiava su due o tre reticolati sovrapposti di travetti in legno detti magatelli. Oltre che di distanziamento dal battuto, questi avevano anche la funzione di sostegno e ancoraggio.

Incastri e altre tecniche di costruzione

Da fonti relative ai pavimentiin legno storici inglesi e francesi apprendiamo interessanti informazioni tecniche di costruzione. Nel 1800 la tecnica di posa delle assi maggiormente utilizzata prevedeva l’inserimento di chiodi di ferro per ancorarsi ai travetti sottostanti.  Questi chiodi venivano nascosti alla vista dalle tavole adiacenti. Le tavole fra di loro venivano unite tramite chiodi di legno, inseriti orizzontalmente sui fianchi.Per la giunzione delle teste iniziano a comparire i primi incastri a maschio- femmina, (tenone-mortasa). Sono incastri composti da una linguetta orizzontale ricavata nel primo elemento che andava inserita in una scanalatura presente nel secondo elemento. Alla posa in opera seguiva la raschiatura con lo scopo di portare allo stesso livello le assi.

"Raschiatori di parquet" Gustave Caillebotte al Museo d'Orsay
“I raschiatori di parquet” di G. Caillebotte

Verniciatura nelle epoche passate

I pavimenti lignei antichi spesso erano lasciati grezzi, senza l’applicazione di alcun prodotto. Le famiglie aristocratiche coprivano interamente o in parte i pavimenti con grandi tappeti che proteggevano il legno dall’usura. È solamente da metà Ottocento che si trova qualche riferimento alla produzione artigianale di vernici per la finitura del parquet storico. In “Falegname ed ebanista” di Giuseppe Belluomini, ebanista milanese (1887), è riportata la ricetta per la preparazione di una vernice per pavimenti di legno.

Parquet intarsiato a Palazzo Reale Torino

La resina naturale più diffusa all’epoca era la gommalacca e da questa si partiva per produrre una vernice che, a seguito di più stesure, rendeva i pavimenti lisci e lucidi. Altri ingredienti erano la cera e l’olio, le materie prime più diffuse e usate nella protezione del legno in generale da sempre. Altri documenti storici raccontano di una verniciatura a base di cera stesa a caldo e tirata con una spazzola.

I pavimenti lignei di Versailles

Nel Settecento in Francia vengono compilati dei trattati per stabilire le regole per una buona posa dei parquet. Si codifica la pratica, iniziata nel 600, di realizzare i pannelli in bottega e poi assemblarli sul posto. I pavimenti in legno di Versailles danno il nome ad un tipo specifico di pannello in rovere, il legno più diffuso in Francia:

La lavorazione del legno in Piemonte

Gli storici dell’arredo ritengono che il disegno del pannello a parquet sia di ispirazione italiana perché se ne trovano le prime tracce nelle opere di Andrea Palladio e Sebastiano Serlio. Nel Settecento il Piemonte risente dell’ influenza francese nei mobili e anche nei pavimenti in legno.

Macchine e attrezzi antichi per la lavorazione del legno

Nell’archivio di stato di Torino, troviamo descrizioni su come avvenivano alcune lavorazioni. In particolare è descritto il processo di stagionatura che continuava anche dopo il taglio degli elementi che dovevano comporre il pannello. Per otto notti i pezzi erano collocati vicino a un forno ed erano girati più volte da un lato e dall’altro; di giorno erano lasciati al sole e all’aria: questa operazione era considerata molto importante perché garantiva stabilità al legno. Nella posa è precisato che avveniva mediante incollatura e chiodatura dei pannelli ai sottostanti travetti in rovere. L’ultima operazione era di mettere la cera in maniera omogenea e quindi lucidare il pavimento.

I disegni dei parquet antichi

La realizzazione di progetti e disegni dei parquet storici erano opera di artisti e architetti. All’ebanista restava l’importante compito di scegliere le specie legnose da utilizzare oltre che a organizzare e dirigere i lavori per la realizzazione finale del pavimento. Il pavimento veniva concepito in armonia con lo stile di tutta la stanza.

Parquet intarsiati

Palazzo Reale di Torino – pavimento in legno storico dell’ebanista del re G.Capello

I Pavimenti intarsiati nascono nel 1600 e sfruttano la varietà dei colori dei vari legni e il contrasto legno chiaro- legno scuro. Di solito c’era un rosone centrale con motivo floreale da cui si dipanavano a raggiera altre composizioni geometriche. Le tarsie dello spessore di 3-5 mm venivano tagliate con il traforo a pedali e incollate sul pannello mediante chiodi e colla animale forte.

Parquet a listoni

Esistevano già nel Settecento e sono composti da tavole larghe dai 7 agli 11 cm. A seconda di come venivano accostati creavano delle composizioni geometriche:

Una composizione particolarmente raffinata è nota come parquet con bordatura a fascia e bindello. Un tappeto centrale con i listoni veniva riquadrato da un fascia con listoni posti in direzione trasversale. Le due parti separate da un bindello ossia una lista o un decoro in altre specie legnose.

Legni usati nei parquet storici

Gli artigiani intarsiatori preferivano legni locali facilmente reperibili, tuttavia usavano anche legni esotici apprezzati per i colori intensi e le venature ricercate.

Parquet in legno di ulivo

Tra i legni europei: Noce,Castagno, Olivo, Quercia, (rovere), Robinia, Acero, Abete,Pino, Ciliegio, Faggio, Frassino. Tra i legni rari, esotici o estinti ricordiamo: l ‘agrifoglio, l’amaranto, il bois de rose, il bois de violette, il bosso, il cedro, il corniolo, l’ebano, il mogano, il palissandro, il sandalo, il teak e la tuia.

A questo proposito può interessarti un articolo sui legni esotici usati nella costruzione dei mobili antichi.

Scopri come si restaura un pavimento in legno storico.

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Legni esotici nei mobili antichi

Tronchi di palissandro tagliati e lasciati ad asciugare in una foresta del'sud America. Quetsa varietà rosa acceso è conosciuta come bois de rose, rosewood o legno di rosa in Italia.
Alberi di bois de rose

I legni esotici erano usati nella costruzione dei mobili dal Cinquecento. All’epoca in Europa assistiamo ad un periodo economico fiorente che arricchisce notevolmente le classi mercantili e nobili. Queste classi divennero committenti esigenti e affamati di beni di lusso come i mobili. In quest’epoca avvenne la trasformazione da falegname a ebanista. Il termine ebanista, sta ad indicare, la categoria dei più abili ed esperti tra gli artigiani del mobile. Letteralmente il termine deriva dalla denominazione francese: menuisier en ébene. Il falegname specializzato nella preziosa lavorazione di legni esotici, tra cui appunto l’ebano. I legni esotici infatti, presentavano caratteristiche diverse da quelle dei legni nostrani ed esigevano un’abilità maggiore nella lavorazione.

Navi cariche di legni esotici dalle colonie

Dal momento che le foreste europeee andavano esaurendosi a causa del disboscamento per la costruzione delle flotte, il commercio del legname proveniente dalle colonie ebbe una spinta. I Portoghesi svilupparono il commercio con l’oceano Indiano, la Malacca e le Molucche. Gli Spagnoli colonizzarono il centro e l’America meridionale. Gli Inglesi nella ricerca di passaggi a nord est ed a nordovest colonizzarono l’America settentrionale. Questi legni vennero usati per le loro qualità estetiche e per la loro durezza e resistenza alle varie lavorazioni. In verniciatura le loro caratteristiche si accentuavano con effetti spettacolari. I colori permettevano di creare accostamenti di strepitosa bellezza e fornivano i toni giusti per la tavolozza dell’intarsiatore di mobili!

Mobile genovese del Settecento  con il tipico motivo a quadrifoglio realizzato usando 2 tipi di palissandri: il bois de rose e il bois de violette.

Tra il Seicento e l’Ottocento l’evoluzione stilistica degli arredi fu fortemente condizionata dall’importazione di nuovi legni esotici e di nuovi materiali. Il palissandro, fu usato per le famose placcature a quadrifoglio dei mobili genovesi.

La prima nave di cui si conserva una traccia porta la data del 1503 ed arrivò dall’America in Portogallo. La nave portava un carico di brasiletto detto anche legno verzino. All’inizio del Seicento sappiamo che a Lisbona ne arrivavano diecimila tonnellate all’anno!

Ricordiamo alcuni legni esotici usati nella costruzione dei mobili dell’epoca:

  • Il legno di campeggio, così chiamato dalla baia di Campêche in Messico, fu tra le cause di una guerra tra Inglesi e Spagnoli;
  • il fustetto o legno giallo dalla Giamaica usato per il placcaggio e l’intarsio
  • Il guaico bianco noto come legno santo. Un legno così duro al punto da essere usato per fabbricare i mortai.

Ebano

L’ ebano, che come dicevamo è il legno pregiato per eccellenza, cresceva in varie parti del mondo ed esisteva in tante tipologie ognuna con le sue caratteristiche estetiche e di lavorabilità.

  • africano detto del Madagascar è nero molto duro e pesante.
  • Coromandel asiatico, proveniva dalla fascia tropico-equatoriale dall’Indonesia all’India ed era nero o nero-porpora, durissimo.
  •  Macassar, dall’isola di Celebes, duro e pesante, nero con strisce rossastre o giallognole.

Nel Settecento il gusto divenne più frivolo e abbandonò i legni scuri a favore di altri legni più attraenti per il loro colore.

Mogano

In ebanisteria un posto di eccellenza spetta al mogano, che dal 1750 diventò il principale legno dell’ebanisteria inglese e poi dal Luigi XVI di quella francese. Si utilizzarono alberi che crescevano a Santo Domingo, Cuba e Giamaica, a cui si aggiunse una specie più morbida che veniva dall’ Honduras.

Thomas Chippendale cassettiera realizzata con lgno di mogano proveniente da Cuba
Cassettiera in mogano

Palissandro

Esempio di palissandro della varietà conosciuta come bois de violette.

Il palissandro fu un altro legno fondamentale per l’ebanisteria del Settecento. Il palissandro assumeva vari nomi a seconda dell’albero da cui proveniva. I più usati nella costruzione dei mobili sono il bois de violette con venature violacee

Esempio di palissandro conosciuto come bois de rose o rose wood.

e il bois de rose, così chiamato perché durante il taglio emana tale caratteristico odore. Oggi è un legno in via di estinzione e protetto. Altri palissandri sono conosciuti come Palissandro Rio e il noce d’India.

Altri legni pregiati

Esempio di Satinwood, legno caratterizzato dalla sua lucentezza dorata come si vede bene dalla foto.

Dalla seconda metà del Settecento s’importò dalle Indie occidentali il satinwood o bois satiné. Una costosa essenza giallo chiaro con venature che ricordano l’aspetto cangiante della seta (da cui il nome).Fu di gran moda per placcature ed intarsi per arredi di lusso fino a tutto l’Ottocento. Molti arredi di Robert Adam furono realizzati con questo legno.

Sempre nel Seicento giunse l’amaranto (specie delle Peltogine) usato soprattutto per torniture. Ricordiamo altre essenze rare che arrivarono nel Settecento: il legno corallo arrivato in Francia dal 1750, il legno serpente detto anche bois de lettres, il legno zebra e quello pernice. Dal Canada dopo il 1850 arrivò a Parigi la tuia.

Cassettone lastronato con radica di tuia.
Legno di tuia

Nel restauro dei mobili capita spesso di dover integrare parti mancanti in legni esotici come quelli appena visti insieme. Nel nostro laboratorio di restauro conserviamo una scorta dei legni più usati comunemente in modo da poter eseguire integrazioni mimetiche.

Scopri come restauriamo un mobile antico.

Soffitti a cassettoni: cenni storici

Soffitto a cassettoni antico dipinto con decorazione a calce

I soffitti a cassettoni o a lacunari sono una costruzione architettonica presente sin dal Medioevo dove il legno era il materiale più usato per la realizzazione degli edifici. La forma dei cassetti può essere semplicemente quadrata o rettangolare data dall’intersecarsi dei travetti, oppure può declinarsi in forme geometriche più ardite come esagoni o ottagoni.

La costruzione in legno

I soffitti a cassettoni sono costruiti attorno ad una o più travi portanti che suddividono lo spazio in campate. Le travi portanti sono generalmente in legno di rovere dall’ albero della quercia. Il legno di quercia ha molte buone caratteristiche utili nella costruzione dei soffitti portanti. E’ un legno molto resistente alle sollecitazioni esterne (compressione e flessione), è stabile e presenta un alto grado di resistenza agli urti. Le campate sono suddivise in cassetti (da qui il nome soffitto a cassettoni) dall’intersecazione di travetti e regoli. I travetti sono simili al trave portante ma di dimensioni decisamente ridotte. I regoli sono più piccoli, sagomati e in legno dolce, spesso pioppo o cipresso. I cassetti sono costituiti da pannellature lisce. Le pannellature e i regoli dei soffitti in legno antichi sono spesso costruiti in legno di pioppo o cipresso.


Intorno al trave portante sono posti dei pannelli inclinati che prendono il nome di bussole e servono a mascherare la parte superiore del trave. Le bussole sono delimitate da una modanatura inchiodata con le teste dei chiodi in ferro battuto a vista. Al giorno d’oggi le travi non sono più portanti perchè le ristrutturazioni e i risanamenti degli edifici hanno portato alla gettata della soletta in cemento armato. Quindi il piano superiore non poggia più sul soffitto in questione come faceva un tempo.

Soffitto ligneo durante il restauro

Dal punto di vista della costruzione le travi davano robustezza alla struttura architettonica dei soffitti. Tuttavia l’impiego aveva soprattutto degli scopi decorativi.

Le decorazioni dei soffitti lignei

I soffitti in legno antichi più spettacolari sono sicuramente quelli dipinti. I pittori impiegavano diverse tecniche di decorazione che servivano ad impreziosire e abbellire le stanze. I travi e travetti potevano essere finemente modanati. In alcuni esemplari si trovano delle mensole lignee che non avevano in genere funzione di sostegno, ma di semplice rinforzo delle travi alloggiate nei muri; queste potevano essere intagliate e costituire un raffinato motivo ornamentale.

Controsoffittature: l’incannucciato

Nell’ Ottocento e nel Novecento era pratica diffusa abbassare l’altezza delle stanze per permettere un riscaldamento degli ambienti più agevole. I costruttori creavano delle controsoffittature con la tecnica dell’incannucciato.I soffitti lignei venivano così coperti.

Soffitto a cassettoni coperto da un incannucciato

Questo sistema detto a camorcanna o “incannucciato” consiste in stuoie di canne legate con filo e ancorate a telai in legno con chiodi quadrati, a loro volta collegate alle travi dei solai o soffitti in legno. Le stuoie di canne venivano intonacate con più strati di calce e gesso in modo da creare uno strato compatto e liscio: un vero e proprio soffitto.

Questo tipo di controsoffitto veniva dipinto con disegni floreali e ornamentali. Grazie a questa antica tecnica realizzata con materiali economici e di facile reperimento, era possibile realizzare controsoffitti isolanti, resistenti e flessibili nello stesso tempo. Spesso nella ristrutturazione di questi edifici l’incannucciato viene rimosso e si restaura il soffitto ligneo che si riscopre.

Visita la nostra pagina dedicata al restauro dei soffitti a cassettoni antichi

PORTONI ANTICHI DI TORINO

Portoni antichi a Torino

La storia dei portoni antichi di Torino è raccontata in questo testo: “Si prega di chiudere piano. Portoni a Torino.” a cura di Muzzarini Luciano e Maria Grazia Imarisio. Una raccolta di fotografie e informazioni preziose sulla storia del portone e dell’arte della lavorazione del legno in Piemonte.

Chiunque abbia fatto una passeggiata per Torino, avrà notato i bellissimi portoni antichi in legno che adornano la città. Si tratta di vere e proprie opere d’arte, frutto dell’ ingegno artigiano.

Arte del legno: chi costruiva i portoni?

Alla costruzione dei portoni antichi di Torino e del Piemonte partecipavano il falegname o mastro da bosco, l’intagliatore e il mastro ferraio. Il primo si occupava della lavorazione e assemblaggio del legno. Il secondo ne abbelliva la composizione con elementi decorativi scolpiti e il terzo realizzava cardini, serrature, battacchi e maniglie in ottone o ferro battuto.

Portone storico in legno scolpito a Torino

Il portone è un elemento architettonico che gli architetti progettavano in armonia con lo stile della facciata.

Portone antico in legno a Torino

Storia stilistica del portone storico

Leggendo sulla storia dei portoni antichi di Torino apprendiamo che il portone più semplice era formato da un unico battente incernierato. Veniva realizzato con una serie di assi affiancate in verticale o in orizzontale e tenute insieme da traverse massicce.  In seguito, questa tipologia è stata modificata perché troppo soggetta a deformazioni. Infatti il peso risultava mal distribuito e portava a deformzioni del legno. Per migliorare la tenuta del portone, il tavolato è stato raddoppiato con l’aggiunta di altre assi disposte in senso opposto e inchiodate. I mastri ferrai diedero vita a splendide decorazioni con chiodi a punta di diamante. In altri portoni aggiunsero una traversa posta diagonalmente. I portoni erano pensati per far transitare i carri e le carrozze, tuttavia in un secondo momento, vi fu la necessità di far passare i pedoni. Nacque il portello pedonale.

Minusieri e scultori

 Il Mastro da bosco assemblava con la tecnica dell’incastro montanti e traverse che creavano il telaio. Esistevano 2 tipi di costruzione: a telaio e pannelli o a telaio e pannelli con foderatura. Quando il disegno delle formelle (pannelli) era elaborato intervenivano il minusiere e l’intagliatore (spesso era lo stesso artigiano a ricoprire le due mansioni).

I legni più usati in Piemonte per la costruzione di portoni antichi sono il noce, il rovere, il larice e il pioppo. Un elemento importante è la ferramenta composta da chiodi, chiavistelli, bandelle di assemblaggio, cardini,catenacci, saliscendi, chiavistelli e serrature. A questi si aggiungono maniglie, pomelli e batacchi di ottone o ferro di varie fogge e stili a seconda dell’epoca storica.

Scopri come si restaurano porte e portoni in legno

Intaglio su legno

Ricostruzione di una foglia mancante

Restauro: ricostruzione foglia centrale mancante.
Ricostruzione della foglia centrale in legno di tiglio

Restauro della cimasa di una specchiera: la foglia centrale era mancante. Il restauro si è articolato in fasi:

  • analisi storico-artistica del manufatto
  • studi di foglie e disegni in scala
  • realizzazione della foglia mancante con la tecnica della scultura su legno (tiglio)

La foglia è stata incollata con colla d’ossa a caldo con un perno in legno di rinforzo. Il passaggio successivo è la doratura a guazzo.

DIPINGERE UN MOBILE

Trasformare i propri mobili con i colori

Ci sono moltissime tecniche per decorare, trasformare i propri mobili e rinnovare così l’aspetto della propria casa o negozio.

Mobili che abbiamo a casa e di cui siamo stufi perchè ci sembrano fuori moda o perchè un determinato colore non ci piace più, oppure il legno ci sembra scuro e abbiamo voglia di dare una nota di colore all’ ambiente.  Arredi che teniamo in garage o in cantina, che qualche parente o amico butta via.  Mobili che possiamo acquistare in mercatini e fiere, in Italia e all’estero. Senza contare quello che a volte si può trovare abbandonato vicino ad un bidone dell’immondizia….

Tante tecniche dicevo,  che ci arrivano da saperi antichi di chi laccava e decorava i mobili nei secoli passati. Ricette a base di pigmenti in polvere e leganti naturali dalle colle animali, al latte, uovo ecc…. Tecniche per antichizzare le finiture degli arredi, per dare loro quel sapore e quella ricchezza del vissuto che secondo me non ha prezzo per il carattere che sa infondere ad un ambiente.

E tante tecniche dei artistiche di pittori e decoratori.

Comodino dipinto con tempera alla caseina e protetto con finitura antichizzata con pigmenti e patine

Cassettiera dipinta con tempere e sul piano tecnica di decorazione con stampi sovrapposti a creare motivo floreale

Una biografia del colore con Philip Ball

Philip Ball:

Colore. Una biografia. Tra arte storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore

Copertina del libro "Colore. Una biografia" di Philip Ball. Rizzoli Bur
Il saggio sul colore edito da Rizzoli- BUR

Per parlare del linguaggio del colore è necessario capire com’è fatto un colore. Philip Ball ci dimostra che la vista non è abbastanza attraverso aneddoti , interpretazioni inedite e affascinanti. In questo libro ripercorre le tappe fondamentali della storia del colore, dai pigmenti minerali ai coloranti organici, fino all’artificio dei prodotti della chimica. Ci spiega come interpretare il linguaggio cromatico e i suoi significati. Philip Ball ci racconta i colori attraverso le sostanze che li compongono: scopriremo così che un particolare pigmento “parla” di sangue e clorofilla, mentre un altro rievoca lo zolfo e il mercurio degli alchimisti. Impariamo le ragioni fisico-chimiche per cui il tempo “ridipinge” le tele e apprendiamo il ruolo di vernici e tinte industriali nel mutare la produzione artistica. Con i mezzi della chimica applicati all’estetica dell’arte, riemerge il legame tra conoscenze tecniche e ingegno. Un legame che nel corso dei secoli ha permesso a pittori e artisti di esprimere in immagini i propri sogni e le proprie visioni.

Dalla seconda di copertina del libro

Questo testo affronta la storia del colore dal punto di vista storico, artistico e scientifico. Per questo ci fornisce informazioni interessanti che sono molto utili per chi lavora nel mondo del restauro e che con i pigmenti e le vernici si confronta quotidianamente.

Grotte di Lascaux pitture rupestri

L’autore ci racconta come l’uomo ha iniziato a trasformare le risorse presenti in natura (minerali e terre) per creare pigmenti con cui dare colore a oggetti e opere d’arte. Pensiamo alle grotte preistoriche di Lascaux.

Il viaggio inizia nella preistoria quando l’uomo, mischiando terre con olio o grasso, ha realizzato la prima tempera della storia umana.

Colore Blu dai lapislazzuli negli affreschi di Giotto

Il cielo degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni è dipinto con un blu realizzato dalla macinatura dei lapislazzuli. Pietre preziose che permettevano di creare un blu duraturo e ovviamente estremamente costoso.