Come lavoravano gli scultori di statue in legno?

Scultura in legno Madonna con bambino

La realizzazione di una statua lignea nel Medioevo

Secondo fonti storiche, dal Medioevo al Quattrocento, ci sono tre principali modalità tecnico-esecutive per realizzare una statua lignea:

  1. la prima prevede lo svuotamento dal retro della scultura;
  2. la seconda consiste nell’uso del tronco lasciato massiccio;
  3. L’ultima, in uso a partire 1480, consiste nel creare la statua da un blocco di legno assemblato, costituito da due o più elementi accostati e incollati.

Nell’Alto Medioevo era uso degli scultori eliminare la zona di midollo per ridurre la massa del legno e limitare le possibili fessurazioni che si potevano creare col tempo.  

La sbozzatura del tronco

Si iniziava con la sbozzatura sul legno ancora fresco, dal momento che ha una resistenza meccanica inferiore rispetto al legno stagionato. Il tronco veniva tagliato longitudinalmente a sega, per uno spessore variabile da ½ a ¾ del tronco stesso, e con l’ausilio di un’ascia curva veniva svuotato in tutta la sua lunghezza oppure solo nella parte bassa, fino ad ottenere un guscio più o meno spesso. Questo trattamento consentiva al legno di stagionare in tempi assai più brevi e di evitare la formazione di cretti da ritiro. Successivamente si procedeva all’intaglio vero e proprio.

Per ottenere figure a tutto tondo, gli incavi erano chiusi con pannelli; oppure si riaccostavano due tronchi svuotati come due metà che si riuniscono.

Dalle fonti storiche si evince che la stagionatura dei tronchi di legno massiccio non veniva fatta o comunque era molto  rara. Al momento di una commessa, lo scultore optava per la rimozione del midollo, perché questo avrebbe portato ad una sicura formazione di fenditure e cretti sull’opera finita.

Scultura da un pezzo unico di legno

Statua in legno: Maddalena di Donatello

Nonostante ciò, alcuni scultori, prevalentemente artisti che usavano sporadicamente il legno, scelsero un unico blocco di legno. Questa scelta si può spiegare perché un pezzo unico consentiva una lavorazione più libera, uno studio dell’anatomia in totale tridimensionalità.  Un esempio illustre è la Maddalena di Donatello conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

Evoluzione delle tecniche costruttive nel 1500

A partire dal 1500 vediamo che le innovazioni avvenute nei metodi costruttivi dei migliori legnaioli si trasferirono anche alla pratica della scultura. Questa nuova tecnica consisteva nell’assemblaggio del gruppo scultoreo composto da singoli elementi lignei. Gli elementi vnivano ottenuti da porzioni dell’albero che non contenevano midollo. Venivano incollati fra loro con colle d’origine animale infine, il  blocco così composto era  rinforzato con cavicchi del medesimo legno.

Questo sistema risolveva varie questioni legate all’utilizzo del tronco unico. Innanzitutto la difficoltà di reperire tronchi stagionati. In seconda battuta, diventava più facile individuare la posizione della scultura all’interno del blocco di legno che non nel tronco.

Assemblaggio degli elementi scultorei

Oltre a questi innegabili vantaggi, gli elementi molto aggettanti, come ad esempio braccia del Cristo nei crocefissi, mani e piedi, il Bambin Gesù accanto alla Madonna, potevano essere intagliati separatamente e in seguito, collegati con cavicchi in legno e colla forte d’ossa.

Statua in legno: perno che collega il braccio
Perno in legno che tiene insieme il braccio con il resto del corpo della statua

I chiodi in ferro non venivano adoperati perché, penetrando nel legno, avrebbero indebolito le fibre. Il ferro inoltre, ossidandosi nel tempo, avrebbe trasferito il suo degrado al legno circostante favorendo distacchi. Oltre alla ruggine, il ferro in quanto metallo, è soggetto a espansione. Questa espansione avrebbe potuto provocare variazioni volumetriche all’interno della struttura con conseguente formazione di spaccature.    

Statua in legno dorata di Parodi
Statua in legno dorata opera dello scultore genovese del 1700 Filippo Parodi

Nelle sculture, a tutto tondo o svuotate, la prassi comune per la sbozzatura e l’intaglio, consisteva nel posizionare il blocco di legno orizzontalmente. Lo scultore lavorava fissando le due estremità ai supporti di un banco da lavoro, con una morsa (ganasce). Per i blocchi più grandi si ipotizza che sbozzatura e intaglio siano stati realizzati in piedi su un ceppo.

Gli attrezzi dello scultore in legno

Lo scultore che lavorava il legno, aveva cura di assecondare la venatura (tiglio, pero e cirmolo possono essere intagliati “controvena”). Sia la sbozzatura sia successivamente l’intaglio erano eseguiti con piccole asce, pialle, scalpelli, sgorbie e raspe; il mazzuolo serviva ad imprimere forza agli attrezzi da taglio. Più l’opera era raffinata più richiedeva attrezzi raffinati per ottenere ogni minimo dettaglio dal suo modellato. Le tracce degli utensili erano abilmente sfruttate per rendere alcuni dettagli come capelli o rughe, o eliminate per raggiungere effetti di particolare levigatezza come la superficie degli incarnati.

Scopri come si restaura una statua in legno antica visitando la nostra pagina dedicata al restauro delle statue lignee.

Nella vita di Filippo Brunelleschi, Giorgio Vasari citando Donatello, scrive di una sfida tra i due nella realizzazione di un Crocifisso:

” Ora, avendo Donatello in que’ giorni finito un Crucifisso di legno, il quale fu posto in S.Croce di Fiorenza…, volle Donato pigliarne parere con Filippo; ma se ne pentì perché Filippo gli rispose ch’egli aveva messo un contadino in croce… Per il che Filippo… stette cheto molti mesi, tanto che condusse di legno un Crocifisso della medesima grandezza, di tal bontà e si con arte, disegno e diligenza lavorato,che nel mandar Donato a casa inanzi a lui, quasi ad inganno (perché non sapeva che Filippo avesse fatto tale opera), un grembiule che egli aveva pieno di uva e di cose per desinar insieme, gli cascò mentre lo guardava uscito di sé per la meraviglia e per l’ingegnosa et artifiziosa maniera che aveva usato Filippo nelle gambe, nel torso e nelle braccia di detta figura, disposta et unita talmente insieme, che Donato, oltra il chiamarsi vinto, lo predicava per miracolo. La qual opera è oggi postain Santa Maria Novella…, lodata ancora dai moderni infinitamente”.

G. VASARI, Le vite de’ più eccelenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, Vita di Filippo Brunelleschi scultore et architetto (ad vocem), Torino 1991, pp.280 – 281

I pavimenti in legno nella storia

I pavimenti in legno storici realizzati con semplici assi, tipo tavolato, c’erano già in epoca romana. Ovviamente erano abbastanza rudimentali perché non c’erano molti attrezzi per la lavorazione del legno. Verso la fine del Medioevo invece, la lavorazione del legno si affina e compaiono tecniche più ricercate come  quella di accostare tavole di specie legnose differenti. Nei paesi nordici e nel Regno Unito sono tuttora visibili degli esemplari di pavimenti in legno storici eseguiti con questa tecnica, datati tra il periodo Gotico e il Quattrocento.

Il secolo del parquet

Il termine parquet è di origine francese e sembra sia nato nel 1600, periodo in cui i pavimenti lignei hanno avuto massima diffusione. La parola parquet deriva dalla tecnica della marqueterie o parqueterie ossia l’intarsio applicato ai mobili di pregio. Nel 1600 gli artigiani realizzano i singoli pannelli che comporranno il pavimento in legno in bottega. Poi sul posto avviene la posa in opera.

Da sempre gli artigiani si sono preoccupati di garantire la giusta circolazione dell’aria per difendere il legno dai pericoli dell’umidità. Per questo si dava molta importanza alle intercapedini sotto ai pavimenti in legno che erano di almeno 32 cm. Il parquet storico infatti, poggiava su due o tre reticolati sovrapposti di travetti in legno detti magatelli. Oltre che di distanziamento dal battuto, questi avevano anche la funzione di sostegno e ancoraggio.

Incastri e altre tecniche di costruzione

Da fonti relative ai pavimentiin legno storici inglesi e francesi apprendiamo interessanti informazioni tecniche di costruzione. Nel 1800 la tecnica di posa delle assi maggiormente utilizzata prevedeva l’inserimento di chiodi di ferro per ancorarsi ai travetti sottostanti.  Questi chiodi venivano nascosti alla vista dalle tavole adiacenti. Le tavole fra di loro venivano unite tramite chiodi di legno, inseriti orizzontalmente sui fianchi.Per la giunzione delle teste iniziano a comparire i primi incastri a maschio- femmina, (tenone-mortasa). Sono incastri composti da una linguetta orizzontale ricavata nel primo elemento che andava inserita in una scanalatura presente nel secondo elemento. Alla posa in opera seguiva la raschiatura con lo scopo di portare allo stesso livello le assi.

"Raschiatori di parquet" Gustave Caillebotte al Museo d'Orsay
“I raschiatori di parquet” di G. Caillebotte

Verniciatura nelle epoche passate

I pavimenti lignei antichi spesso erano lasciati grezzi, senza l’applicazione di alcun prodotto. Le famiglie aristocratiche coprivano interamente o in parte i pavimenti con grandi tappeti che proteggevano il legno dall’usura. È solamente da metà Ottocento che si trova qualche riferimento alla produzione artigianale di vernici per la finitura del parquet storico. In “Falegname ed ebanista” di Giuseppe Belluomini, ebanista milanese (1887), è riportata la ricetta per la preparazione di una vernice per pavimenti di legno.

Parquet intarsiato a Palazzo Reale Torino

La resina naturale più diffusa all’epoca era la gommalacca e da questa si partiva per produrre una vernice che, a seguito di più stesure, rendeva i pavimenti lisci e lucidi. Altri ingredienti erano la cera e l’olio, le materie prime più diffuse e usate nella protezione del legno in generale da sempre. Altri documenti storici raccontano di una verniciatura a base di cera stesa a caldo e tirata con una spazzola.

I pavimenti lignei di Versailles

Nel Settecento in Francia vengono compilati dei trattati per stabilire le regole per una buona posa dei parquet. Si codifica la pratica, iniziata nel 600, di realizzare i pannelli in bottega e poi assemblarli sul posto. I pavimenti in legno di Versailles danno il nome ad un tipo specifico di pannello in rovere, il legno più diffuso in Francia:

La lavorazione del legno in Piemonte

Gli storici dell’arredo ritengono che il disegno del pannello a parquet sia di ispirazione italiana perché se ne trovano le prime tracce nelle opere di Andrea Palladio e Sebastiano Serlio. Nel Settecento il Piemonte risente dell’ influenza francese nei mobili e anche nei pavimenti in legno.

Macchine e attrezzi antichi per la lavorazione del legno

Nell’archivio di stato di Torino, troviamo descrizioni su come avvenivano alcune lavorazioni. In particolare è descritto il processo di stagionatura che continuava anche dopo il taglio degli elementi che dovevano comporre il pannello. Per otto notti i pezzi erano collocati vicino a un forno ed erano girati più volte da un lato e dall’altro; di giorno erano lasciati al sole e all’aria: questa operazione era considerata molto importante perché garantiva stabilità al legno. Nella posa è precisato che avveniva mediante incollatura e chiodatura dei pannelli ai sottostanti travetti in rovere. L’ultima operazione era di mettere la cera in maniera omogenea e quindi lucidare il pavimento.

I disegni dei parquet antichi

La realizzazione di progetti e disegni dei parquet storici erano opera di artisti e architetti. All’ebanista restava l’importante compito di scegliere le specie legnose da utilizzare oltre che a organizzare e dirigere i lavori per la realizzazione finale del pavimento. Il pavimento veniva concepito in armonia con lo stile di tutta la stanza.

Parquet intarsiati

Palazzo Reale di Torino – pavimento in legno storico dell’ebanista del re G.Capello

I Pavimenti intarsiati nascono nel 1600 e sfruttano la varietà dei colori dei vari legni e il contrasto legno chiaro- legno scuro. Di solito c’era un rosone centrale con motivo floreale da cui si dipanavano a raggiera altre composizioni geometriche. Le tarsie dello spessore di 3-5 mm venivano tagliate con il traforo a pedali e incollate sul pannello mediante chiodi e colla animale forte.

Parquet a listoni

Esistevano già nel Settecento e sono composti da tavole larghe dai 7 agli 11 cm. A seconda di come venivano accostati creavano delle composizioni geometriche:

Una composizione particolarmente raffinata è nota come parquet con bordatura a fascia e bindello. Un tappeto centrale con i listoni veniva riquadrato da un fascia con listoni posti in direzione trasversale. Le due parti separate da un bindello ossia una lista o un decoro in altre specie legnose.

Legni usati nei parquet storici

Gli artigiani intarsiatori preferivano legni locali facilmente reperibili, tuttavia usavano anche legni esotici apprezzati per i colori intensi e le venature ricercate.

Parquet in legno di ulivo

Tra i legni europei: Noce,Castagno, Olivo, Quercia, (rovere), Robinia, Acero, Abete,Pino, Ciliegio, Faggio, Frassino. Tra i legni rari, esotici o estinti ricordiamo: l ‘agrifoglio, l’amaranto, il bois de rose, il bois de violette, il bosso, il cedro, il corniolo, l’ebano, il mogano, il palissandro, il sandalo, il teak e la tuia.

A questo proposito può interessarti un articolo sui legni esotici usati nella costruzione dei mobili antichi.

Scopri come si restaura un pavimento in legno storico.

Soffitti a cassettoni: cenni storici

Soffitto a cassettoni antico dipinto con decorazione a calce

I soffitti a cassettoni o a lacunari sono una costruzione architettonica presente sin dal Medioevo dove il legno era il materiale più usato per la realizzazione degli edifici. La forma dei cassetti può essere semplicemente quadrata o rettangolare data dall’intersecarsi dei travetti, oppure può declinarsi in forme geometriche più ardite come esagoni o ottagoni.

La costruzione in legno

I soffitti a cassettoni sono costruiti attorno ad una o più travi portanti che suddividono lo spazio in campate. Le travi portanti sono generalmente in legno di rovere dall’ albero della quercia. Il legno di quercia ha molte buone caratteristiche utili nella costruzione dei soffitti portanti. E’ un legno molto resistente alle sollecitazioni esterne (compressione e flessione), è stabile e presenta un alto grado di resistenza agli urti. Le campate sono suddivise in cassetti (da qui il nome soffitto a cassettoni) dall’intersecazione di travetti e regoli. I travetti sono simili al trave portante ma di dimensioni decisamente ridotte. I regoli sono più piccoli, sagomati e in legno dolce, spesso pioppo o cipresso. I cassetti sono costituiti da pannellature lisce. Le pannellature e i regoli dei soffitti in legno antichi sono spesso costruiti in legno di pioppo o cipresso.


Intorno al trave portante sono posti dei pannelli inclinati che prendono il nome di bussole e servono a mascherare la parte superiore del trave. Le bussole sono delimitate da una modanatura inchiodata con le teste dei chiodi in ferro battuto a vista. Al giorno d’oggi le travi non sono più portanti perchè le ristrutturazioni e i risanamenti degli edifici hanno portato alla gettata della soletta in cemento armato. Quindi il piano superiore non poggia più sul soffitto in questione come faceva un tempo.

Soffitto ligneo durante il restauro

Dal punto di vista della costruzione le travi davano robustezza alla struttura architettonica dei soffitti. Tuttavia l’impiego aveva soprattutto degli scopi decorativi.

Le decorazioni dei soffitti lignei

I soffitti in legno antichi più spettacolari sono sicuramente quelli dipinti. I pittori impiegavano diverse tecniche di decorazione che servivano ad impreziosire e abbellire le stanze. I travi e travetti potevano essere finemente modanati. In alcuni esemplari si trovano delle mensole lignee che non avevano in genere funzione di sostegno, ma di semplice rinforzo delle travi alloggiate nei muri; queste potevano essere intagliate e costituire un raffinato motivo ornamentale.

Controsoffittature: l’incannucciato

Nell’ Ottocento e nel Novecento era pratica diffusa abbassare l’altezza delle stanze per permettere un riscaldamento degli ambienti più agevole. I costruttori creavano delle controsoffittature con la tecnica dell’incannucciato.I soffitti lignei venivano così coperti.

Soffitto a cassettoni coperto da un incannucciato

Questo sistema detto a camorcanna o “incannucciato” consiste in stuoie di canne legate con filo e ancorate a telai in legno con chiodi quadrati, a loro volta collegate alle travi dei solai o soffitti in legno. Le stuoie di canne venivano intonacate con più strati di calce e gesso in modo da creare uno strato compatto e liscio: un vero e proprio soffitto.

Questo tipo di controsoffitto veniva dipinto con disegni floreali e ornamentali. Grazie a questa antica tecnica realizzata con materiali economici e di facile reperimento, era possibile realizzare controsoffitti isolanti, resistenti e flessibili nello stesso tempo. Spesso nella ristrutturazione di questi edifici l’incannucciato viene rimosso e si restaura il soffitto ligneo che si riscopre.

Visita la nostra pagina dedicata al restauro dei soffitti a cassettoni antichi

PORTONI ANTICHI DI TORINO

Portoni antichi a Torino

La storia dei portoni antichi di Torino è raccontata in questo testo: “Si prega di chiudere piano. Portoni a Torino.” a cura di Muzzarini Luciano e Maria Grazia Imarisio. Una raccolta di fotografie e informazioni preziose sulla storia del portone e dell’arte della lavorazione del legno in Piemonte.

Chiunque abbia fatto una passeggiata per Torino, avrà notato i bellissimi portoni antichi in legno che adornano la città. Si tratta di vere e proprie opere d’arte, frutto dell’ ingegno artigiano.

Arte del legno: chi costruiva i portoni?

Alla costruzione dei portoni antichi di Torino e del Piemonte partecipavano il falegname o mastro da bosco, l’intagliatore e il mastro ferraio. Il primo si occupava della lavorazione e assemblaggio del legno. Il secondo ne abbelliva la composizione con elementi decorativi scolpiti e il terzo realizzava cardini, serrature, battacchi e maniglie in ottone o ferro battuto.

Portone storico in legno scolpito a Torino

Il portone è un elemento architettonico che gli architetti progettavano in armonia con lo stile della facciata.

Portone antico in legno a Torino

Storia stilistica del portone storico

Leggendo sulla storia dei portoni antichi di Torino apprendiamo che il portone più semplice era formato da un unico battente incernierato. Veniva realizzato con una serie di assi affiancate in verticale o in orizzontale e tenute insieme da traverse massicce.  In seguito, questa tipologia è stata modificata perché troppo soggetta a deformazioni. Infatti il peso risultava mal distribuito e portava a deformzioni del legno. Per migliorare la tenuta del portone, il tavolato è stato raddoppiato con l’aggiunta di altre assi disposte in senso opposto e inchiodate. I mastri ferrai diedero vita a splendide decorazioni con chiodi a punta di diamante. In altri portoni aggiunsero una traversa posta diagonalmente. I portoni erano pensati per far transitare i carri e le carrozze, tuttavia in un secondo momento, vi fu la necessità di far passare i pedoni. Nacque il portello pedonale.

Minusieri e scultori

 Il Mastro da bosco assemblava con la tecnica dell’incastro montanti e traverse che creavano il telaio. Esistevano 2 tipi di costruzione: a telaio e pannelli o a telaio e pannelli con foderatura. Quando il disegno delle formelle (pannelli) era elaborato intervenivano il minusiere e l’intagliatore (spesso era lo stesso artigiano a ricoprire le due mansioni).

I legni più usati in Piemonte per la costruzione di portoni antichi sono il noce, il rovere, il larice e il pioppo. Un elemento importante è la ferramenta composta da chiodi, chiavistelli, bandelle di assemblaggio, cardini,catenacci, saliscendi, chiavistelli e serrature. A questi si aggiungono maniglie, pomelli e batacchi di ottone o ferro di varie fogge e stili a seconda dell’epoca storica.

Scopri come si restaurano porte e portoni in legno

MAGGIOLINI INTARSIATORE DEGLI ASBURGO

Giuseppe Maggiolini da Parabiago (Milano, 1738-1814)

ebbe una folgorante carriera ed è annoverato fra i principali ebanisti italiani, al punto da dare il suo nome agli arredi che hanno perpetuato lungo tutto l’Ottocento il suo stile incomparabile.

Nel 1771,  in seguito alle nozze dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, con Maria Beatrice Riccarda d’Este la corte arciducale si stabilì a Milano e all’architetto Piermarini furono assegnati i lavori di adattamento e nuova costruzione del Palazzo di città (odierno Palazzo Reale) e della nuova Villa a Monza. Maggiolini fu coinvolto in questi due grandi cantieri neoclassici, disegnò ed eseguì pavimenti, arredi e decori. L’arciduca gli conferì il titolo di “Intarsiatore di Sua Altezza Reale”, che troviamo come firma in forma di cartiglio su pochissimi dei mobili giunti fino a noi.

La leggenda tramanda che il campionario di Maggiolini contasse ben 86 essenze diverse di legni: noce, palissandro, abete, mogano, bosso, acero, pioppo, ciliegio, faggio etc.

L’ultimo quarto del Settecento coincide con l’affermazione del gusto neoclassico, in opposizione al precedente stile rococò o barocchetto, particolarmente diffuso e apprezzato in Lombardia. Un’eco di questa transizione è visibile nelle prime opere di Maggiolini, ovvero dei cassettoni di forma bombata con alte gambe intagliate e decori a cineserie. Ben presto, però, la tipologia del mobile di Maggiolini si precisa: arredi sobri ed eleganti, una forma dominata da rigide geometrie, con fasce laterali e catene superiori e inferiori che definiscono i prospetti; le superfici sono ampie e lisce, con fregi vegetali o ornati geometrici a racchiudere i medaglioni al centro dei piani, contenenti raffinate allegorie classiche o personaggi mitologici. Spesso i disegni di questi medaglioni sono frutto della mano di artisti affermati (Appiani, Levati). La gamba è rastremata e a forma di tronco di piramide, la struttura è solitamente in noce, con poche connessioni a coda di rondine. Solo nella produzione degli ultimi anni la parte figurata inizia a ‘uscire’ dai limiti geometrici delle superfici, andando incontro a un gusto più spiccatamente decorativo per chiaroscuri di sapore pittorico, ottenuti con bruniture a fuoco dei legni e più raramente con la loro tintura.

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Testi da NTQ database – la prima banca dati dell’oggetto d’arte e di design

SEMPLIFICARE: la sedia n° 14 di Thonet

Testo tratto da “Da cosa nasce cosa” di Bruno MUNARI – Laterza editori

Semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività. Ecco un famoso esempio di semplificazione:

la sedia n° 14 del signor Michael Thonet. Uno che inventa una nuova tecnica per risolvere i suoi problemi con più semplicità senza dimenticare l’estetica che può nascere da quella tecnica.

Le sedie di quei tempi erano fatte di tanti pezzi di legno messi insieme ad incastro o con colle. Ogni pezzo doveva essere lavorato, finito, incastrato, incollato per formare la sedia. C’erano i 4 montanti delle gambe, lo schienale, il sedile, i listelli di rinforzo per tenere assieme e gambe e tutto il resto.

Tanto per fare un esempio consideriamo la tipica sedia di Chiavari o la Windsor. La sedia di Chiavari è fatta con 16 pezzi, è leggera e comoda.

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La sedia Windsor è fatta con 23 pezzi ed è piuttosto pesante.

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Michael Thonet pensò che forse si sarebbe potuto inventare una sedia più semplice, fatta senza spreco, leggera ed elegante. Forse esaminando dei mobili di malacca curvata (la malacca è il nome commerciale del legno della canna d’india, utilizzato specialmente per bastoni da passeggio e manici d’ombrelli) gli venne in mente di provare a curvare dei bastoni a sezione rotonda, di faggio, inzuppati di vapore (pensando ai rami che quando sono freschi si spaccano) per poi inserirli in uno stampo e seccarli facendo evaporare l’umidità assorbita. In questo modo i bastoni avrebbero conservato le forme volute. E quali erano queste forme volute? Thonet pensò che curvando il legno si potevano riunire più funzioni: – i piedi posteriori e lo schienale potevano essere un pezzo solo, che non aveva più bisogno di incastri o di colle. – il sedile, invece di farlo quadrato, lo fece rotondo in un pezzo solo invece che in quattro pezzi da incastrare. In questo modo la sua prima sedia fu realizzata in soli 6 pezzi e tenuta assieme con solo 10 viti.

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Era l’anno 1859 quando la sedia nuova, modello 14, si realizzò. Ancora oggi questa sedia viene costruita nello stesso modo e fino a poco tempo fa ne sono state prodotte oltre 70 milioni di esemplari. La sedia così progettata e costruita risultò più economica, più pratica, leggera ed elegante per la coerenza formale del materiale, della tecnologia usata, senza nessuna forzatura decorativa oltre alle forme nate dalla tecnica.

La Werkstatte di Vienna

“La ‘Wiener Werkstätte’ si estende su tre piani, e possiede propri laboratori di metallurgia, oreficeria e argenteria, legatoria, pelletteria e per la produzione e la verniciatura di mobili, oltre a locali pieni di macchinari, studi d’architettura, aule di disegno e spazi espositivi. Nel frastuono di questa vera e propria fucina, gli artisti-artigiani si dedicano con calma al loro ispirato lavoro manuale. Le macchine non mancano di certo; al contrario, la Wiener Werkstätte dispone di tutte le innovazioni tecnologiche atte ad agevolare il processo di produzione, ma qui esse non spadroneggiano da tiranne, bensì fungono da utili e volonterose servitrici. Il prodotto, perciò, è privo dell’impronta della produzione meccanica e incorpora, invece, lo spirito dell’artefice, rivelando l’intervento della sua mano esperta. Il principio fondamentale della Wiener Werkstätte – che dovrebbe, peraltro, essere fatto proprio da tutti gli artigiani che ambiscano ai massimi traguardi – è il seguente: meglio lavorare per dieci giorni su un singolo oggetto, che produrre dieci oggetti in un solo giorno. Il pezzo così prodotto dimostrerà tutta l’abilità tecnica e artistica necessaria alla sua creazione, e il suo valore artistico risiederà dove raramente lo si trova e dove, invece, dovrebbe trovarsi sempre: non nella decorazione esteriore o nelle rifiniture formali, bensì nella serietà e nella dignità sia del lavoro intellettuale sia di quello manuale. Ogni oggetto reca impressi i segni di entrambi questi aspetti, poiché non solo assume la forma scelta dall’artista, ma rivela anche l’intervento del produttore, dell’artigiano, del singolo lavoratore che lo ha realizzato”

Wiener Werkstätte – Josef Hoffmann und Koloman Moser, in “Deutsche Kunst und Dekoration”, vol.15, 1904-05.